Fundamento destacado: 2.1 […] Più precisamente, per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente o occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore (Cass. 9 agosto 2004, n. 15362).
2.2 E’ pacifico che il Melchiorri operasse nell’interesse e per conto della Funivie Polgarida Marilleva S.P.A. (come affermato nello stesso ricorso a p. 9). Ma la società ricorrente rileva che agire nell’interesse e per conto dell’imprenditore non significa essere assoggettati anche al potere di direzione e di vigilanza di questi, che costituisce presupposto indispensabile per l’applicazione dell’art. 2049.
3. […] Risulta dunque evidente che il servizio in favore degli infortunati era svolto nell’ambito dell’organizzazione d’impresa per conto e nell’interesse dell’imprenditore (come ammette la stessa società ricorrente), cosicchè dei danni verificatisi in conseguenza dello stesso debba rispondere l’imprenditore a norma dell’art. 2049 c.c., salvo che non provi che la formula organizzativa utilizzata relativamente al servizio di trasporto degli infortunati sulle piste di sci e di avviamento ad un centro medico fosse tale da imporre in capo ad altri soggetti autonomi l’organizzazione del servizio e, dunque, la responsabilità dello stesso.
Cass. Civ. – Sezione III, sentenza 9 novembre 2005 n. 21685 –
Svolgimento del processo
Laura Vezzù Bocus citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Trento le Funivie Folgarida Marilleva S.p.A. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente sciistico avvenuto il 25 febbraio 1996. Esponeva che mentre si trovava ferma lungo la pista Panciana di Marilleva era stata urtata dal toboga condotto da un addetto al soccorso. La società convenuta si costituiva in giudizio contestando il fondamento della domanda ed eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto l’incidente era stato provocato non da un proprio dipendente ma da un addetto al soccorso mentre prestava occasionalmente assistenza di volontario. Il Tribunale, in accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, rigettava la domanda. Proposto appello, la Corte d’appello di Trento riformava là sentenza impugnata e condannava le Funivie Folgarida Marilleva S.p.a. al pagamento in favore dell’attrice della somma di euro 24341 00 per danni me di euro 424, 39 per spese mediche.
Avverso questa sentenza le Funivie Folgarida Marilleva S.P.A. propongono ricorso per Cassazione affidato ad otto motivi. L’intimata resiste con controricorso e, sua volta, svolge ricorso incidentale articolato in un unico motivo, al quale resiste con controricorso la s.p.a le Funivie Folgarida Marilleva, che ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
a) Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
b) Con il primo e con il secondo motivo del ricorso principale, trattatati congiuntamente, la società ricorrente lamenta/ rispettivamente, la violazione e falsa applicazione degli artt. 306 e 329 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in merito alla rinunzia al diritto al risarcimento dei danni operata dalla Vezzù.
Successivamente alla notificazione dell’atto d’appello, la Vezzù aveva convenuto in giudizio il Dott. Pierluigi Melchiorri (che il giorno dell’incidente conduceva il toboga per il soccorso) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’incidente del 25 febbraio 1996; incidente che era già statooggetto dell’azione intrapresa nei confronti delle Funivie Folgarida Marilleva S.p.a.. Questo comportamento integrava un’acquiescenza alla sentenza di primo grado ovvero una rinunzia al diritto al risarcimento dei danni ipoteticamente sussistente nei confronti della società.
I motivi sono privi di fondamento.
La corte territoriale ha escluso che la proposizione da parte della Vezzù della domanda di risarcimento nei confronti del Melchiorre potesse dar luogo ad acquiescenza. Lo ha escluso sul rilievo che il comportamento indicato era stato posto in essere dopo che l’appello era stato proposto e che in tal caso l’acquiescenza tacita non bastava, essendo bensì possibile avvalersi soltanto di una espressa rinunzia all’impugnazione da compiersi nelle forme e con le modalità prescritte dalla legge. E’ quindi pervenuta alla conclusione che “nel caso che interessa non vi è stata acquiescenza espressa alla sentenza di primo grado e tantomeno rinunzia alla domanda risarcitoria nei confronti della società convenuta”.
Per comodità espositiva possono trattarsi distintamente la questione dell’acquiescenza all’impugnazione e quella della rinunzia al diritto al risarcimento. Quanto al profilo dell’acquiescenza, questa Corte ha in più occasioni enunciato il principio – condiviso dal Collegio – secondo cui l’acquiescenza contemplata dall’art. 329 c.p.c., opera come preclusione rispetto ad una impugnazione non ancora proposta, mentre nell’ipotesi in cui la sentenza sia già stata impugnata è possibile avvalersi soltanto di una espressa rinunzia all’impugnazione stessa, da compierai nelle forme e con le modalità prescritte dalla legge (Cass. 14 giugno 1990, n. 5802; 14 giugno 1995, n. 6698/ 27 gennaio 1998, n. 801; S.U. 12 gennaio 1999, n. 763). La sentenza impugnata ha fatto applicazione di questo principio, cosicchè, con riferimento, al profilo attinenti- all’acquiescenza è da escludere la violazione di legge (e, peraltro, la stessa ricorrente non sembra censurare questo punto).
L’eccezione di rinunzia al diritto al risarcimento dei danni e, dunque, di rinunzia alla domanda nei confronti della Funivie Folgarida Marilleva S.p.A. è stata rigettata dalla Corte di merito sulla base delle medesime considerazioni utilizzate per escludere l’acquiescenza all’impugnazione. Questa motivazione appare adeguata. La rinunzia all’azione, che non richiede formule sacramentali e può essere anche tacita, presuppone incompatibilità assoluta tra il comportamento dell’attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta (v. per es. Cass. 19 marzo 1990, n. 2267). Anche la acquiescenza (della quale si è già sopra detto) presuppone atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione ( art. 329 c.p.c.).
La Corte d’appello, in sostanza, nell’escludere che il comportamento indicato potesse considerarsi incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione ha implicitamente, ma chiaramente, affermato, a seguito di una valutazione in fatto non censurabile in sede di legittimità, che quello stesso comportamento neppure poteva considerarsi incompatibile con la volontà di proseguire nella domanda proposta.
Non si riscontra poi la lamentata violazione di legge, in quanto l’equiparazione non è stata fatta tra i due istituti giuridici, ma solamente in fatto, relativamente al profili dell’incompatibilità del comportamento ad avvalersi dell’impugnazione e a proseguire nell’azione.
3. I motivi terzo, quarto e quinto sono trattati dalla ricorrente principale congiuntamente. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione dell’art. 2049 c.c., dell’art. 50 della legge provinciale della Provincia Autonoma di Trento n. 7 del 21 aprile 1987 e dell’art. 26 del relativo regolamento di attuazione D.P.G.P. 22 settembre 1987 n. 11-51 Leg.”.
Con il quarto motivo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in merito alla questione della propria carenza di legittimazione passiva per l’insussistenza di qualsivoglia potere di direzione e sorveglianza nei confronti del Dr. Melchiorri. Con il quinto motivo, in ordine alla medesima questione, deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2727 ss. c.c..
La società ricorrente (sull’implicito rilievo dell’eccezione svolta in sede di merito secondo cui l’incidente era stato provocato da uno dei volontari che occasionalmente svolgevano il servizio di soccorso) espone che la Corte di merito aveva erroneamente applicato l’art 2049 c.c.. Infatti, la responsabilità del committente per il fatto del commesso ex art. 2049 c.c. si fonda sul concorso di due requisiti:
– l’aver il commesso agito su richiesta o per conto del committente, indipendentemente dalla permanenza dell’incarico o dalla continuità della prestazione;
– l’essere il commesso legato da un vincolo di subordinazione nei confronti del committente, cui corrisponde un potere di direzione o sorveglianza da parte di costui sul primo, in base a ciò, se era possibile concordare con l’assunto secondo cui il Dr. Melchiorri operasse nell’interesse (ossia per conto) della società convenuta, del tutto inaccettabile era l’affermazione che per tale motivo il Dr. Melchiorri fosse altresì assoggettato ad un potere di direzione e di vigilanza da parte della medesima”. Una cosa è, infatti, l’agire nell’interesse di un soggetto è altra è l’essere sottoposto, in virtù di un rapporto di subordinazione, al potere di direzione e di vigilanza di tale soggetto.
La decisione esibiva poi una contraddittoria motivazione, “in quanto la ritenuta derivazione del rapporto di subordinazione dal mero rapporto di servizio e di utilità rispetto all’attività convenuta risulta privo di giustificazione sul piano logico”, essendo ammissibile che taluno operi “nell’interesse” di un soggetto senza perciò solo essereassoggettato al suo potere direzionale, inoltre la Corte d’appello aveva considerato provata una circostanza – la sussistenza del potere di vigilanza e di direzione in capo alla convenuta – che era onere dell’attrice dimostrare e che per contro è rimasta totalmente sfornita di prova in corso di causa. Infine, era stata erroneamente applicata la legge provinciale della Provincia Autonoma di Trento n. 7 del 21 aprile 1987 e il relativo regolamento di attuazione.
I motivi sono privi di fondamento.
2.1. L’art. 2049 c.c., utilizzando un vocabolario per taluni versi desueto, traccia una figura di responsabilità oggettiva: del danno cagionato dal commesso o dal domestico nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti risponde il padrone o il committente.
Questa responsabilità applicata ai rapporti d’impresa sta asignificare che l’imprenditorie, il quale sopporta il rischio della sua impresa, è responsabile dei danni che vengono cagionati a terzi da soggetti inseriti nell’organizzazione aziendale. Più precisamente, per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore
(Cass. 9 agosto 2004, n. 15362).
2.2. La Corte d’appello ha ritenuto sussistente la responsabilità ex art. 2049 poichè, essendo obbligatorio per legge assicurare un ervizio di assistenza e soccorso per poter gestire un impianto di risalita, era evidente che il Melchiorri svolgesse tale servizio per conto della società convenuta che si avvaleva della sua opera per il conseguimento di un proprio interesse, assumendosi con ciò l’obbligo di vigilanza e la responsabilità per l’operato dell’addetto.
Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte d’appello non sono censurabili nè per violazione di legge nè per vizio di motivazione.
E’ pacifico che il Melchiorri operasse nell’interesse e per conto della Funivie Polgarida Marilleva S.P.A. (come affermato nello stesso ricorso a p. 9). Ma la società ricorrente rileva che agire nell’interesse, per conto dell’imprenditore non significa essere assoggettati anche al potere di direzione e di vigilanza di questi, che costituisce presupposto indispensabile per l’applicazione dell’art. 2049.
Queste deduzioni, con riferimento alle particolarità del caso di specie non possono essere condivise.
La legge provinciale della Provincia Autonoma di Trento del 21 aprile 1987 n. 7 – recante “Disciplina delle linee funiviarie in servizio pubblico e piste da sci” -, all’art. 50 dispone che il titolare dell’autorizzazione all’esercizio della pista deve assicurare, fra l’altro, il servizio di trasporto degli infortunati sulle piste da sci e loro avviamento ad un centro medico. Precisa poi che le modalità dello svolgimento dei servizi di cui al primo comma saranno stabiliti con il regolamento di esecuzione. A sua volta l’art. 26 del regolamento per l’esecuzione così dispone: “1. il titolare dell’autorizzazione all’esercizio della pista è tenuto ad assicurare il servizio di trasporto degli infortunati sulla stessa fino alla più vicina strada carrozzabile raggiungibile da autolettighe; deve essere predisposta e costantemente disponibile l’attrezzatura ecessaria e sufficiente a tale scopo e l’organizzazione per effettuare il servizio nel modo migliore e più celere possibile.
2. Il servizio deve essere prestato da persone addestrate al trasporto degli infortunati e cessa con la consegna dell’infortunato al servizio sanitario o comunque su richiesta dell’infortunato stesso o dei suoi familiari.
3. Il titolare dell’autorizzazione può affidare o delegare a istituzioni o enti specializzati l’effettuazione del servizio di cui ai commi precedenti”.
Il servizio in questione, dunque – che secondo la sentenza impugnata ha dato luogo all’incidente – assolveva ad un obbligo dell’imprenditore che per un corretto esercizio dell’impresa dell’impianto di risalita, doveva dunque organizzare l’impresa in modo da assicurare il servizio secondo il modulo indicato dalle norme sopra indicate.
Risulta dunque evidente che il servizio in favore degli infortunati era svolto nell’ambito dell’organizzazione d’impresa per conto e nell’interesse dell’imprenditore (come ammette la stessa società ricorrente), cosicchè dei danni verificatisi in conseguenza dello stesso debba rispondere l’imprenditore a norma dell’art. 2049 c.c., salvo che non provi che la formula organizzativa utilizzata relativamente al servizio di trasporto degli infortunati sulle piste di sci e di avviamento ad un centro medico fosse tale da imporre in capo ad altri soggetti autonomi l’organizzazione del servizio e, dunque, la responsabilità dello stesso.
A questo proposito, la società ricorrente, richiamando il regolamento che consente l’affidamento del servizio ad enti autonomi, rileva che in tal caso non vi è l’assoggettamento dei componenti di tali entinella specie: di volontariato associativo – ai poteri direttivi della società titolare dell’autorizzazione.
Essendo evidente che i suddetti operano eventualmente in regime di assoggettamento alle istruzioni dell’ente il quale opera – fino a prova contraria (nella specie non fornita) – in piena autonomia decisionale ed operativa”.
Ma queste deduzioni non mutano le conclusioni alle quali sopra si è pervenuti.
La circostanza che i soggetti i quali svolgevano nell’interesse dell’impresa il servizio nei confronti degli infortunati fossero dei volontari non esclude la responsabilità dell’imprenditore a norma dell’art. 2049 c.c., essendo irrilevante il titolo in base al quale gli stessi agivano per conto e nell’interesse dell’imprenditore e rilevando, diversamente, come si è detto, la circostanza dell’inserzione nell’organizzazione aziendale.
La deduzione, poi, che vi sarebbe stato affidamento del servizio ad un ente autonomo alle istruzioni del quale (e non dunque dell’imprenditore esercente l’impianto) erano tenuti coloro che espletavano il servizio è del tutto apodittica. Non è infatti indicato quale sarebbe stato il rapporto intercorrente tra l’imprenditore esercente l’impianto e l’ente autonomo di volontariato, cosicchè non appare possibile riferire il servizio, svolto nell’interesse dell’imprenditore, ad un’altra organizzazione autonoma dallo stesso.
4. Con il sesto motivo la ricorrente principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2049, 2043 e 2697 c.c. Secondo la sentenza impugnata, alla luce delle prove acquisite e dei danni subiti, la Vezzù aveva dimostrato la riferibilità del fatto all’addetto al soccorso. Nel motivare il proprio convincimento la Corte d’appello, aveva chiarito che la responsabilità prevista dall’art. 2049 c.c. rappresenta una vera e propria responsabilità oggettiva non essendo consentita alla parte la prova liberatoria, precisando che ciò si verifica quando sia incontroversa la riferibilità del fatto alla condotta del collaboratore, ferma restando la possibilità per il padrone o committente di dimostrare che il fatto non è imputabile al proprio collaboratore o dipendente.
Ciò premesso la ricorrente rileva che non è affatto la riferibilità del fatto alla condotta del collaboratore, ma la commissione da parte del domestico o commesso di un fatto illecito dotato di tutti i requisiti previsti dall’art. 2043 c.c., ossia la causazione da parte dello stesso di un danno ingiusto mediante un comportamento doloso o colposo. In altre parole, l’art. 2049 prevede una responsabilità oggettiva nel senso che prescinde dalla colpa del padrone, ma non da quella del domestico. Inoltre, era il danneggiato che, ai sensi dell’art 2697 c.c., doveva fornire la prova degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità extracontrattuale, mentre non era la Funivie Folgarida Marilleva s.p.a. a dover dimostrare che “fu la Vezzù ad andare contro il toboga”.
Anche questo motivo è privo di fondamento, poichè non si riscontra la violazione di legge lamentata.
La sentenza impugnata con ampia motivazione, ricostruisce puntualmente il fatto ed indica gli elementi di responsabilità del Melchiorri, rilevando che era stato quest’ultimo a colpire con il toboga la Vezzù. Inoltre, la Corte territoriale, nel ritenere che la Vezzù avesse dimostrato la commissione del fatto da parte dell’addetto al soccorso, ha inteso riferire allo stesso il fatto illecito in tutte le sue componenti (del quale poi è chiamato a rispondere l’imprenditore a norma dell’art. 2049 c.c.) e non escludere la rilevanza della colpa a carico di chi materialmente aveva commesso il fatto.
5. Con il settimo motivo la ricorrente principale denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in merito alla dinamica della ricostruzione dell’incidente e all’assenza di responsabilità in capo alla condotta tenuta dal Melchiorri. Le doglianze riguardano in particolare, l’esclusione dell’attendibilità del teste Paolo Zucal, la pretermissione del teste Melchiorri, la circostanza che la responsabilità del Melchiorri era stata ricavata da circostanze presuntive del tutto equivoche e compatibili con la versione data da entrambe le parti.
Il motivo è privo di fondamento.
E’ consolidata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione che l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente ed al comportamento delle persone in esso coinvolti, si concreta in un giudizio di mero fatto, insindacabile in sede di legittimità in quando adeguatamente motivato, e che spetta esclusivamente al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento, di esaminare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare la prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge. Quanto poi alla non considerazione della deposizione del teste Melchiorri, sembra sufficiente rilevare che lo stesso è stato considerato nella sentenza autore materiale dell’illecito e che, comunque, nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, non sono per nulla riportate le circostanze dallo stesso riferite, così impedendosi il controllo di decisività.
6. Con l’ottavo motivo, la ricorrente principale deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per non avere la Corte esaminato l’eccezione
ex art. 1227 c.c. di concorso di colpa della Vezzù.
Il motivo è privo di fondamento.
L’ art. 1227 primo comma c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell’evento e, nello stabilire che il risarcimento non è dovuto per i danni causati dal suo
comportamento colposo, obbliga con ciò stesso il giudice ad accertare tutti i fattori causali, così da imporgli di indagare d’ufficio sull’eventuale concorso di colpa del danneggiato e sulla sua incidenza del danno (v. per es. Cass. 13 febbraio 2002, n. 2067).
La Corte d’appello ha ricostruito il fatto e ha ritenuto responsabile il Melchiorri con una motivazione la quale, implicitamente ma chiaramente, esclude che nella fattispecie possano rinvenirsi profili di colpa della Vezzù. E ciò è sufficiente ad escludere che possa riscontrarsi la violazione della norma indicata.
7. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la Vezzù deduce l’omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla liquidazione del danno e la violazione della legge n. 39 del 1977, lamentando per un verso che la liquidazione del danno era stata calcolata omettendo qualsiasi motivazione e senza spiegare perchè non si era seguita la quantificazione da essa fatta, per altro verso che poteva solamente ipotizzarsi che l’errata valutazione dei danni fosse conseguenza della mancata considerazione che alla casalinga era da liquidarsi il danno alla capacità lavorativa.
Il motivo è infondato.
La prospettazione relativa alla mancata considerazione della qualità di casalinga nella liquidazione del danno è inammissibile, in quanto nuova, non essendo stata la circostanza oggetto di dibattito nei
precedenti gradi. Per il resto il motivo contesta direttamente – e inammissibilmente in questa sede di legittimità – il convincimento espresso dal giudice di merito con adeguata motivazione.
8. Per quanto vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Sussistono giusti motivi perla compensazione tra le parti delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2005