Fundamento destacado: 8.- In accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, affinchè decida la controversia uniformandosi al seguente principio di diritto:
“Agli effetti della responsabilità per custodia di animali, di cui all’art. 2052 cod. civ., custode dell’animale è colui che ne faccia uso nell’interesse proprio, si tratti di interesse economico o d’altro genere.
Il custode tale rimane nei casi in cui – sempre in vista del perseguimento di finalità proprie – si avvalga per la gestione dell’animale del lavoro o delle prestazioni di terzi, i quali agiscano alle sue dipendenze o nel suo esclusivo interesse”.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso 10198-2006 proposto da:
A.G.G. (OMISSIS), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 36, presso lo studio
dell’avvocato CALO’ MAURIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato IOTINO CARLO con delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A.G.G., sottufficiale di vigilanza presso il Corpo di polizia municipale del Comune di Torino, ha convenuto in giudizio il Comune stesso, chiedendo il risarcimento dei danni subiti nell’autunno 1992, manovrando un cavallo renitente ai comandi, che lo ha strattonato, e successivamente il 12 settembre 1993, allorchè il cavallo che montava mentre era di servizio per una manifestazione cittadina, si era impennato, facendolo cadere rovinosamente a terra.
Premetteva che l’Inail gli aveva attribuito un assegno mensile in relazione ad un’invalidità del 30%, riconoscendo che l’incidente era avvenuto per causa di servizio, mentre il Comune si era rifiutato di risarcirgli i danni alla persona.
Il convenuto ha resistito alla domanda, eccependo fra l’altro la prescrizione, con riferimento all’incidente del 1992.
Con sentenza n. 8044/2001 il Tribunale di Torino ha respinto la domanda, ponendo a carico dell’attore le spese processuali.
Proposto appello dal soccombente, a cui ha resistito l’appellato, con sentenza n. 240, depositata il 17 febbraio 2005, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado.
Con atto notificato il 24 marzo 2006 l’ A.G. propone due motivi di ricorso per cassazione.
Resiste il Comune di Torino con controricorso, proponendo a sua volta due motivi di ricorso incidentale.
Il resistente ha depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 cod. proc. civ.).
2.- La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado, quanto all’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivati dall’incidente del 1992, ed ha escluso la responsabilità del Comune quanto all’incidente del 1993, sul rilievo che esso si è verificato mentre l’animale era affidato alla custodia dello stesso danneggiato, che ne era quindi l’utilizzatore ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2052 cod. civ..
3.- Con il primo e il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2052 cod. civ. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la persona dell’utilizzatore a cui la citata norma si riferisce è soltanto colui che faccia uso dell’animale nell’interesse proprio ed a proprio vantaggio, pur se in vista di finalità non economiche o meramente ludiche.
La norma non è applicabile, invece, ove il rapporto con l’animale sia imposto da causa di servizio e per lo svolgimento delle mansioni affidate dal datore di lavoro e proprietario dell’animale, come nel caso di specie.
In tal caso custode rimane il proprietario, nel cui interesse l’animale sia utilizzato, analogamente a quanto avviene allorchè il danno derivi dall’uso da parte del lavoratore di macchinari o attrezzature di proprietà dal datore di lavoro.
4.- Il motivo è fondato.
La responsabilità per i danni provocati da animale, che a norma dell’art. 2052 cod. civ. grava su “chi se ne serve, per il tempo in cui lo ha in uso “, trova la sua giustificazione nel principio per cui chi tragga vantaggio dall’esercizio di un’attività o dall’uso di un bene o di un animale è tenuto a risarcire i danni arrecati ai terzi, che siano causalmente ricollegabili all’attività medesima, od all’utilizzazione del bene o dell’animale.
Trattasi di responsabilità imputabile oggettivamente, sulla base della mera connessione causale fra il comportamento dell’animale e l’evento dannoso (Cass. civ. Sez. 3^, 9 gennaio 2002 n. 200; Cass. civ. Sez. 3^, 23 gennaio 2006 n. 1210).
Il soggetto responsabile dei danni deve essere quindi individuato in chi faccia uso dell’animale nell’interesse proprio e per il perseguimento di proprie finalità, pur se non economiche.
Tale non può considerarsi colui che utilizzi l’animale per svolgere mansioni od incarichi inerenti alla propria attività di lavoro, che gli siano affidati dallo stesso proprietario dell’animale, alle cui dipendenze, o nell’interesse del quale, egli presti la sua opera.
Il prestatore d’opera – sia esso lavoratore dipendente od autonomo – si trova ad essere investito della custodia in senso meramente tecnico, o proprio del linguaggio comune, nel senso che è di fatto tenuto a maneggiare, accudire, pascolare, montare, ecc, l’animale.
Viene cioè a trovarsi in posizione analoga ad una sorta di “detenzione dell’animale per ragioni di servizio”, simile a quella tipica di chi debba svolgere un’attività su di un macchinario altrui, come ha correttamente rilevato il ricorrente.
Ai fini dell’imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 cod. civ., utilizzatore nell’interesse proprio, quindi custode dell’animale, rimane il proprietario (o l’usufruttuario, o il titolare di posizioni assimilate) che abbia conferito l’incarico o nel cui interesse le suddette attività siano state svolte, contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza impugnata.
Alla Corte di merito ha probabilmente fatto velo il presupposto (non esplicitato) che il sottufficiale del corpo di polizia municipale a cavallo dovesse essere tecnicamente in grado di controllare l’animale, sì da evitare incidenti del genere di quelli che si sono verificati, ed in questo senso lo ha considerato custode del cavallo.
Ma si tratta di un equivoco.
La responsabilità del prestatore d’opera per imperizia nella gestione dell’animale ben potrebbe ricorrere in concreto.
Ma essa attiene a un diverso ordine di problemi, cioè a quello che concerne l’eventuale concorso di colpa del detentore dell’animale, che nella specie era anche il danneggiato (art. 1227 cod. civ.).
A tali effetti avrebbe dovuto il Comune dedurre e dimostrare le circostanze di fatto idonee a dimostrare l’eventuale concorso di colpa, e la Corte di appello avrebbe dovuto prendere specificamente in esame la questione, per poter ridurre od escludere la responsabilità del Comune.
Nulla di tutto ciò risulta dalla sentenza impugnata, che ha invece assolto il Comune sull’erroneo presupposto che – con l’attribuzione all’ufficiale della polizia municipale dell’incarico di partecipare alla manifestazione a cavallo – la responsabilità per custodia di cui all’art. 2052 cod. civ. fosse passata al prestatore d’opera.
5.- Il terzo motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2934 e 2943 cod. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto prescritto il suo diritto al risarcimento dei danni derivati dal primo incidente, negando efficacia interruttiva alla sua lettera 7.4.1995, è inammissibile.
Spetta infatti alla discrezionale valutazione del giudice di merito l’interpretazione degli atti di parte, fra cui l’individuazione del significato che deve essere attribuito al contenuto di una lettera che si assume interruttiva della prescrizione.
Le suddette valutazioni sono suscettibili di riesame in sede di legittimità solo sotto il profilo dei vizi di motivazione: vizi che nella specie non sono stati denunciati dal ricorrente, nè sussistono, avendo la Corte di merito congruamente e logicamente motivato la soluzione accolta.
6.- Il quarto motivo – che attiene alla pronuncia sulle spese – risulta assorbito.
l. Quanto al ricorso incidentale, il primo motivo è assorbito, poichè attiene all’insussistenza dei presupposti per l’attribuzione al Comune della responsabilità del primo incidente, in relazione al quale è stato confermato il capo della sentenza impugnata che ha ravvisato la prescrizione.
Il secondo motivo è inammissibile, poichè concerne l’omessa pronuncia sull’imputabilità del secondo incidente a colpa del danneggiato, questione su cui la Corte di appello non ha pronunciato, perchè assorbita dal rigetto della domanda sulla base di diverso e più ampio principio.
La questione potrà essere ovviamente riproposta nel giudizio di rinvio.
8.– In accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, affinchè decida la controversia uniformandosi al seguente principio di diritto:
“Agli effetti della responsabilità per custodia di animali, di cui all’art. 2052 cod. civ., custode dell’animale è colui che ne faccia uso nell’interesse proprio, si tratti di interesse economico o d’altro genere.
Il custode tale rimane nei casi in cui – sempre in vista del perseguimento di finalità proprie – si avvalga per la gestione dell’animale del lavoro o delle prestazioni di terzi, i quali agiscano alle sue dipendenze o nel suo esclusivo interesse”.
PQM
La Corte di cassazione riunisce i ricorsi.
Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale; rigetta il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto.
Dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale e inammissibile il secondo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010