Fundamentos destacado: Orbene, emergendo dalla stessa sentenza impugnata essere “le coltivazioni del C. che hanno subito i danni accertati nel corso del giudizio di primo grado ubicate all’interno dei terreni gestiti, dal punto di vista venatorio, dalla Società Cooperativa Monte Evangelo, centro privato di cui alla L.R. n. 8 del 1994, art. 41 “, e che “si tratta di danni riferibili a caprioli, secondo quanto accertato in base alla c.t.u.”, erroneamente di tali danni è stata ritenuta responsabile la Provincia, anzichè la detta Società Cooperativa, non risultata espletare la propria attività quale mero nudus minister.
Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, (OMISSIS) in persona del Presidente p.t. M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato MACIOCI CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PREITE FRANCESCA giusta procura speciale in calce al ricorso; – ricorrente – contro C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI, 38, presso lo studio dell’avvocato GIUSSANI ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TIRELLI BENSO giusta procura speciale in calce al controricorso; – controricorrente – e contro MONTE EVANGELO SOCIETA’ COOPERATIVA; – intimata – avverso la sentenza n. 70/2013 del TRIBUNALE di REGGIO EMILIA, depositata il 17/01/2013; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2016 dal Consigliere Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO; udito l’Avvocato MACIOCI CLAUDIO; udito l’Avvocato GIUSSANI ALESSANDRO; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS PIERFELICE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. del 4/10/2013 la Corte d’Appello di Bologna ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dalla Provincia di Reggio Emilia in relazione alla pronunzia Trib. Reggio Emilia n. 70 del 2013, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dal sig. C.C. di risarcimento dei danni cagionati nell’anno 2005 da lepri e, per quanto ancora d’interesse in questa sede, da caprioli ai propri vitigni, ricompresi nella riserva venatoria privata gestita dalla Società Cooperativa Monte Evangelo.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la Provincia di Reggio Emilia propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il C..
Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L.R. Emilia-Romagna n. 8 del 1994, artt. 17, 18;
L. n. 157 del 1992, artt. 2, 18, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 2 motivo denunzia violazione “omessa, insufficiente e/o contraddittoria” motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che i giudici di merito abbiano erroneamente ed illogicamente ritenuto il capriolo una specie protetta, laddove la circostanza che ai sensi della L.R. n. 8 del 1994, art. 56 esso “sia cacciabile unicamente in forma selettiva, con le modalità previste dal Regolamento Regionale n. 1/2008… non vale a rendere “non cacciabile” la specie in oggetto”, sicchè dei danni in questione risponde il gestore della fauna selvatica. Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato e sia tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, la L. n. 157 del 1992 (recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’emanazione di norme relative al controllo e alla protezione di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3), ed affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle Province le relative funzioni amministrative ad esse delegate ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 9 (v. Cass., 21/2/2011, n. 4202).
Si è al riguardo ulteriormente osservato che laddove non vi si oppongano esigenze di carattere unitario, le Regioni organizzano l’esercizio dei compiti amministrativi a livello locale attraverso i Comuni e le Province (art. 118 Cost.; D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 4) (cfr. Cass., 6/12/2011, n. 26197).
A tale stregua, relativamente a zone intercomunali o all’intera area provinciale ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 19, lett. e) ed f) (riproduttivo in parte qua della L. n. 142 del 1990, art. 14) spettano alle Province i poteri in materia di protezione della flora e della fauna, nonchè di caccia e pesca (v. Cass., 6/12/2011, n. 26197). Si è per altro verso da questa Corte precisato che dei danni cagionati da animali selvatici risponde a titolo aquiliano l’ente (Regione, Provincia, Parco, Federazione o Associazione) cui risultino in concreto affidati, dalla legge o in base a delega o concessione di altro ente, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata (cfr. Cass., 10/10/2014, n. 21395; Cass., 6/12/2011, n. 26197;
Cass., 8/1/2010, n. 80). Il delegato o concessionario va peraltro ritenuto a tale titolo responsabile solo allorquando gli sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da potere efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività stessa, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni; non anche allorquando risulti mero nudus minister, privo di concreta ed effettiva possibilità operativa (cfr. Cass., 6/12/2011, n. 26197; Cass., 8/1/2010, n. 80). Orbene, con particolare riferimento al capriolo va osservato che esso è alla L. n. 157 del 1992, art. 18, comma 1, lett. c)espressamente ricompreso tra le “specie cacciabili dal 10 ottobre al 30 novembre”.
La L.R. (Emilia-Romagna) n. 8 del 1994, art. 56 (recante “Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria”) stabilisce quindi che, ad eccezione del cinghiale, degli ungulati (qual è il capriolo) il “prelievo venatorio… è consentito esclusivamente in forma selettiva, secondo le indicazioni e previo parere dell’I.N.F.S.”, e che “i limiti quantitativi, la scelta dei capi ed eventuali prescrizioni sul prelievo sono approvati annualmente dalla Provincia, su proposta degli organismi direttivi dell’A.T.C. e dei concessionari delle aziende venatorie, attraverso l’adozione di piani di prelievo, ripartiti per distretto e per AFV, sulla base delle presenze censite in ogni A.T.C. o azienda venatoria nel rispetto della programmazione faunistico-venatoria provinciale”. Precisando altresì che i “tempi e le modalità del prelievo sono stabiliti dal calendario venatorio regionale e dalla normativa regionale in materia di gestione faunistico-venatoria degli ungulati” (comma 2, come sostituito dalla L.R. n. 15 del 2003, art. 23, nella formulazione ratione temporis applicabile anteriormente alla sostituzione operata dalla L.R. (Emilia-Romagna) n. 1 del 2016, art. 50). In base alla L.R. (Emilia-Romagna) n. 8 del 1994, art. 16, la Provincia è tenuta “ai sensi dell’art. 19 della legge statale provvede al controllo delle specie di fauna selvatica nelle zone vietate alla caccia, eccettuati i parchi e le riserve naturali” (comma 1, nella formulazione ratione temporis applicabile anteriormente alla sostituzione operata dalla L.R. (Emilia-Romagna) n. 1 del 2016, art. 13, che ha attribuito il potere-dovere de quo alla Regione).
Nei “parchi e nelle riserve naturali”, i “prelievi e gli abbattimenti” debbono infatti avvenire “sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’ente parco” e in conformità al relativo regolamento (comma 1, nella formulazione ratione temporis applicabile anteriormente alla sostituzione operata dalla L.R. (Emilia-Romagna) n. 1 del 2016, art. 13). Solo “nella restante parte del territorio” i “prelievi e gli abbattimenti” sono ascritti alla “diretta responsabilità della Provincia”, e debbono essere attuati da soggetti specializzati o da essa espressamente autorizzati e selezionati e a determinate finalità. Emerge evidente, a tale stregua, come dei danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate sui terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di “fauna cacciabile” (o da sconosciuti nel corso dell’attività venatoria) rispondano le “aziende venatorie di cui all’art. 43 per le specie di cui si autorizza il prelievo venatorio, nei fondi inclusi nelle rispettive strutture” L.R. (Emilia- Romagna) n. 8 del 1994, (art. 17, comma 1 lett. b), nella formulazione ratione temporis applicabile), laddove le Province rispondono dei danni provocati “nell’intero territorio agro-silvo- pastorale” (oltre che da specie protette e dal piccione di città) da “specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse”. Orbene, i suindicati principi sono rimasti nell’impugnata sentenza disattesi dalla corte di merito, che ha erroneamente interpretato il riportato quadro normativo, ratione temporis applicabile.
Ha in particolare erroneamente ritenuto che essendone ai sensi della L.R. (Emilia-Romagna) n. 8 del 1994, art. 56, comma 1, consentito solamente il “prelievo selettivo” L. n. 157 del 1992, ex art. 18, comma 2, e art. 19, il capriolo debba considerarsi “specie protetta e non liberamente cacciabile”. Ne ha tratto l’ulteriore non corretto corollario che il relativo abbattimento possa essere effettuato solamente “dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, anche avvalendosi di terzi a tale scopo autorizzati (cfr. L. n. 157 del 1992, art. 19, commi 2 e 3) ovvero da coloro che risultano in possesso di uno specifico attestato di idoneità tecnica rilasciato dalla Provincia (cfr. L.R. n. 8 del 1994, art. 56, comma 5), è volto al perseguimento di interessi eminentemente pubblici (quali, ad esempio, l’evitare squilibri e danni ambientali, causati da un numero di animali selvatici di una determinata specie in esubero su di un determinato territorio) ed effettuato secondo piani di prelievo annuali approvati dalla Provincia”. E’ quindi pervenuta all’erronea conclusione che nella specie “l’imputazione dell’obbligazione indennitaria alla Provincia di Reggio Emilia è stata correttamente disposta dal Tribunale nella sentenza impugnata”.
Erroneità che si evince con tutta evidenza alla stregua del chiaro tenore delle sopra riportate disposizioni normative, essendo – come detto – il capriolo espressamente qualificato come appartenente alle “specie cacciabili dal 1 ottobre al 30 novembre”, laddove la circostanza che la L.R. n. 8 del 1994, ex art. 56, comma 2, ne sia consentito il “prelievo venatorio” esclusivamente in “forma selettiva” non può, diversamente da quanto divisato dai giudici di merito, essere inteso come deponente per la relativa sostanziale equiparazione alle specie “non cacciabili”, bensì nel senso che esso è cacciabile solamente con la suindicata particolare modalità e da parte di cacciatori particolarmente qualificati. Che il capriolo sia “specie cacciabile “, sia pure con specifiche limitazioni anche relativamente alla suindicata particolare forma di prelievo, risulta d’altro canto più volte affermato dalle sezioni penali di questa Corte. In particolare là dove si è ritenuto integrato il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. g), in ipotesi di abbattimento posto in essere senza rispettare le modalità di caccia di selezione per esso previsto (v. Cass. pen., Sez. 3, 4/11/2011, n. 2380), ovvero di abbattimento effettuato al di fuori dell’arco di tempo consentito v. Cass. pen., Sez. 3, 11/10/2005, n. 39287), al riguardo ponendosi in particolare in rilievo come risulti in tale ipotesi integrato il reato p.p. alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. a), di esercizio venatorio in periodo di divieto generale (“configurabile anche nel caso in cui venga abbattuto un esemplare nel periodo della stagione venatoria, ma al di fuori del più limitato arco temporale nel quale consentita la caccia alla specie cui l’animale abbattuto apparteneva”), e non già la fattispecie incriminatrice ex lett. h) del cit. articolo, riferentesi alla “diversa ipotesi di “caccia non consentita” non in relazione al tempo, ma alla specie, sicchè non vieta l’esercizio della caccia, ma l’abbattimento, la cattura e la detenzione (v. Cass. pen., Sez. 3, 20/2/2013, n. 32058).
Orbene, emergendo dalla stessa sentenza impugnata essere “le coltivazioni del C. che hanno subito i danni accertati nel corso del giudizio di primo grado ubicate all’interno dei terreni gestiti, dal punto di vista venatorio, dalla Società Cooperativa Monte Evangelo, centro privato di cui alla L.R. n. 8 del 1994, art. 41 “, e che “si tratta di danni riferibili a caprioli, secondo quanto accertato in base alla c.t.u.”, erroneamente di tali danni è stata ritenuta responsabile la Provincia, anzichè la detta Società Cooperativa, non risultata espletare la propria attività quale mero nudus minister. Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può ex art. 384 c.p.c., comma 2, essere decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta dal C. nei confronti della Provincia di Reggio Emilia. Con compensazione tra le parti delle spese del giudizio di merito e, stante le ragioni della decisione, del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del C. nei confronti della Provincia di Reggio Emilia.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di merito e del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016